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Sport lunedì 24 ottobre 2016 ore 18:15

Otto anni di basket e disabilità

L'innovativo programma di allenamenti e partite è nato nel 2008. Carlotti: "L'iniziativa è nata da un gruppo sportivo, la Juve Pontedera"



PONTEDERA — "A livello nazionale ci sono esperienze simili, ma a Pontedera la cosa strana e unica è che è stata un'iniziativa di una società sportiva, la Juve Pallacanestro. Dopo c'è stato il fondamentale aiuto della Bellaria" e così dopo otto anni il gruppo di basket Anpis Juve pallacanestro è ancora vivo e ancora in espansione: "In Toscana sul basket - ha detto il primo e attuale allenatore del progetto Gabriele Carlotti - sono nate e poi sparite varie situazioni. Il lavoro con la disabilità mentale non è semplice. Le realtà italiane più importanti sono a Parma, Bologna, Gorizia o Trieste. Ma hanno un approccio diverso da quello che c'è qua in Valdera. Qui siamo partiti dalla società sportiva". Da altre parti invece l'imput è arrivato da Asl o da enti che curano le persone affette da disturbi.

L'esperienza che Carlotti porta avanti vede coinvolto un gruppo di diciotto persone: "Dopo otto anni posso dire che ora il livello tecnico è buono, così come la conoscenza del gioco. Per questo possiamo giocare a livello agonistico e disputeremo tra l'inverno e la primavera varie partite. Per esempio lo scorso anno a dicembre abbiamo giocato contro ragazzi di squadre Uisp che hanno altre disabilità".

Un lavoro impegnativo ma che dà tante soddisfazioni. Carlotti adesso allena in un'altra società (Etrusca basket San Miniato) ma ha continuato a gestire il gruppo Anpis: "Sono tanti anni, lo faccio con piacere, i ragazzi li conosco e mi hanno dato tanto. Mi hanno cambiato anche come allenatore. Non c'è ancora un'organizzazione, una rete alle spalle come nel calcio, che organizzi tornei" ma è molto probabile che con la crescita del movimento fare rete diventi naturale e questi ragazzi possano disputare campionati invernali come tutti gli sportivi.

In un lungo intervento di qualche tempo fa Carlotti aveva descritto cosa avesse rappresentato per lui quest'innovativa esperienza: "...quando abbiamo iniziato nessuno ci credeva veramente. Di sicuro nessuno immaginava la strada da percorrere, una strada mai battuta: i ragazzi del centro di salute mentale di Pontedera, che non hanno mai giocato a basket in tutta la loro vita, messi in campo da un coach, totalmente fuori dalle dinamiche medico-psichiatriche, ma considerato dalla società abbastanza folle per iniziare ad allenarlo. Ognuno di questi ragazzi diverso e simile, ognuno con la sua caratteristica principale. Proprio come una squadra di basket 'vera'.

Iniziamo gli allenamenti. Inizialmente uno alla settimana, alle 14 ogni venerdì al centro della Bellaria, perché le palestre sono tutte piene e trovare altri orari è dura. Alla fine abbiamo lo spirito delle minors in un certo senso, e gli orari più improbabili li troviamo. Il gioco, il basket o quello che facciamo ogni giorno che non è proprio il basket, ma è quel gioco creato su misura per loro: come quando i genitori, alla domanda "Come nascono i bambini", rispondono che li porta la cicogna o nascono sotto i cavoli. Si racconta una storia che è diversa dalla realtà ma che è un racconto sul reale, a fin di bene, per crescere, per capirci. Questo è il nostro basket, o almeno un racconto del basket.

Abbiamo i nostri fondamentali: Il tiro. Che ci frega dello stendere il braccio, gli angoli a 90 gradi e così via. L'obiettivo è il canestro. Essere efficaci. Punto. Segnare. Perché è bello fare canestro. Farlo per la prima volta. Come ha fatto Alessio ieri a Bologna. Per la prima volta ha segnato e mamma era contenta, tanto felice e contenta. Poi abbiamo il palleggio: questo fondamentale a volte non lo capiamo proprio, anche perché quando vedo il canestro è bello corrergli incontro senza perdere tempo. Ci stiamo lavorando. Assomigliamo pian piano ad una squadra di pallamano e il piede perno proprio non ci va giù. Sul passaggio abbiamo il vero spirito minors: passo la palla sotto tortura quando so di non poter fare altro. Altrimenti tiro.
Non parliamo della difesa: spazi e tempi sono relativi e non riusciamo a coprire il campo nemmeno se prendiamo uno scooter per muoversi. Perché privare gli altri giocatori della gioia di un tiro? Il concetto è "metti le mani sulla palla", perchè difendere, scivolare, abbassare il culo è roba da grandi. A noi basta una storia. E spera di non affrontare una ragazza: alcuni miei ragazzi per cavalleria non proverebbero mai a rubare palla ad una signorina. Siamo gentiluomini in fondo.
I primi tempi eravamo sette-otto ad allenarsi. Non si faceva la partitella. Mi chiedevo se fosse possibile arrivare al contatto e alla parte agonistica. Adesso siamo diciotto. E giochiamo. Io prendo il fischio e al fischio dobbiamo fermarci. Il venerdì giochiamo nove contro nove. Perché tutti abbiamo diritto a giocare nella nostra storia. In nove in campo non difendiamo: facciamo densità.

Poi sono arrivate le prime partite. Il nostro primo giocare. Anno dopo anno sempre meglio. Gli amici di Bologna, di Trieste, di Gorizia. Il torneo al Parco Basaglia. Gli amatori di Pontedera. Le ragazze della Castellani. E poi tutti gli under che ho allenato in questi anni li hanno conosciuti. Perché non esiste un campionato per noi. Solo qualche torneo in giro per l'Italia organizzati da volontari e educatori, come quello di ieri a Bologna. E ci piace un casino viaggiare. Il torneo è la nostra festa. Venerdì sera siamo arrivati a Bologna e siamo stati ospiti del centro sociale in via Azzo Gandino, a 100 metri dal Paladoza. Ci siamo passati davanti col pulmino della ASL di Pontedera e i tifosi erano a bere birra in attesa di gara 3 con Agrigento. Nessuno dei miei ragazzi conosceva minimamente la Fortitudo. Il basket per loro è il venerdì alla Bellaria, il resto non esiste. Gli ho raccontato qualcosa. "Possiamo entrare anche noi?", "È più grande della Bellaria" "Se continuo ad allenarmi ci posso giocare anche io?". È dura Simone ma ci possiamo provare. Sorrido. È giusto che ci crediamo perché nel nostro racconto tutto è possibile. Del resto le cicogne esistono. Intanto pensiamo alla cena: in qualunque trasferta il primo pensiero è il cibo. Mangiare, mangiare, mangiare. Non tutti sono così. Ma la voglia di stare insieme a giro a mangiare va oltre la partita. Riempire il piatto di ogni cosa è strafogarsi. Tanto non siamo mica atleti noi. Noi giochiamo un basket orizzontale, scordiamoci la verticalità, che siano gli altri ad aspirare al cielo. A noi basta la Terra. E poi i selfie e le foto di gruppo in piazza Maggiore, il saluto alla casa di Lucio Dalla, le ragazze. Le ragazze si guardano sempre. Siamo dei vecchi marpioni. Ah dimenticavo, il torneo. Si perché nelle pause ai tornei giochiamo a basket. Al primo torneo a Bologna nel 2010 non segnammo neanche un canestro. Mi ricordo c'erano alcuni ragazzi delle giovanili della Virtus contro di noi. "Salutatemi Giordano" fu la cosa che si avvicinò di più ad un canestro. Ora siamo migliorati. Qualche canestro lo facciamo. Qualcuno che teneva il punteggio dice che una partita è finita 12 a 8 per i nostri avversari. Solo 4 punti di differenza. Passo tutto l'anno a tenere il punteggio e quando sono con i miei ragazzi proprio non mi interessa. Nemmeno a loro. Giacomo mi dice sempre che abbiamo vinto. Lo credo anche io. Perché penso ad una storia lunga otto anni, che nonostante tutto continua e cresce. Quella storia che prima o poi va raccontata, perché è facile, perché basta volerlo e crederci, perché il basket non è solo pickroll e body check. Perché credere alle cicogne fa bene alla salute".


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