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Attualità domenica 25 ottobre 2015 ore 14:30

​Così parlò il premio Nobel

Grazie alla sezione locale di Amnesty pubblichiamo l'intervista integrale realizzata con Svetlana Alexievich nel novembre del 2002



PONTEDERA — Ha vissuto un anno in Valdera Svetlana Alexievich, scrittrice premio Nobel 2015 per la letteratura. Durante la sua permanenza in Toscana l'intellettuale bielorussa era entrata in contatto col gruppo Amnesty Pontedera.

Durante la riunione del 18 ottobre nella nuova sede in piazza del Mercato a Pontedera i volontari dell'associazione hanno cercato alcuni documenti che raccontano la presenza di Alexievich in Valdera.
Di seguito pubblichiamo l'intervista integrale fornita da Amnesty e realizzata tredici anni fa, l'11 novembre 2002.

In queste parole si trova tutta la durezza e oppressione del sistema bielorusso. Alexievich rischiava il carcere a vita solo per avere denunciato alcune situazioni ed espresso alcune idee.

Intervista con Svetlana Aleksievich

Qual’è la situazione della libertà di pensiero e di opinione nel suo paese ?

In Bielorussia Lukuscenko governa un regime molto più oppressivo di quello russo.

Uomini politici o giornalisti che contrastano il governo sono fatti sparire e non ricompaiono più.

Le persone che hanno manifestato il loro libero pensiero sono dovuto emigrare o hanno perso il lavoro.

Vi sono altri scrittori come me che sono obbligati a vivere all’estero. I miei libri sono usciti in 23 lingue, ma in Bielorussia non è possibile trovarne neanche uno.

Durante le manifestazioni accade anche che la polizia fotografi i partecipanti e poi vada a prenderli a casa per processarli nel giro di pochi giorni.

Nonostante ciò Lukuscenko è stato riconfermato alle recenti elezioni. Questo per me è un grande interrogativo senza risposta. Il nostro cammino è quindi ancora lungo e difficile.

Per quale motivo è costretta a vivere in Esilio?

Dopo la pubblicazione nel 1992 del mio libro di testimonianze di reduci sovietici della guerra in Afghanistan, ho subito un processo durato 2 anni, nel quale sono stata accusata di diffamazione dagli stessi reduci e dalle loro famiglie.

In quel periodo nessuno parlava della guerra in Afghanistan. Oggi che si vede cosa accade in Cecenia, la gente capisce quello che è successo in Afghanistan, mentre dieci anni fa nessuno ci credeva.

Non posso rientrare in Bielorussia perché il processo può essere riaperto in qualsiasi momento e rischio la condanna al carcere a vita.

Quanto ha inciso sull’opinione pubblica il suo ultimo libro di testimonianze sulla tragedia di Chernobil?

Il libro Preghiera per Chernobyl (recentemente pubblicato in Italia dalle edizioni E/O) è uscito in 19 paesi, e ha ispirato film e spettacoli teatrali. In Bielorussia il governo ha concesso la pubblicazione di alcune parti del mio libro.

Io penso che prima o poi la gente leggerà questo libro.

La gente che vive in Ucraina e Bielorussa cerca di non pensare a questo problema per non avere paura. Il governo ne ha approfittato. E’ facile ingannare una persona quando non conosce i fatti.

Anche gli adulti si sono comportati come i bambini, hanno chiuso gli occhi per non vedere.

Come è cambiata la Russia dal crollo dell’impero sovietico?

Fino ad oggi ho scritto cinque libri: due libri sulla seconda guerra mondiale, un libro sulla guerra in Afghanistan, il quarto libro sulla perestroika e il quinto sulla tragedia di chernobyl; in tutti questi libri ho cercato di raccontare il mondo russo.

Con l’arrivo di Gorbaciov è stata fatta una rivoluzione dall’alto chiamata Perestroika. In quel momento l’Europa credeva che in Russia fosse cambiato tutto. Non è stato così. Ancora oggi non riusciamo a capire perché in Russia non sia cambiato niente dopo la fine dell’utopia comunista.

In un libro che sarà tradotto tra breve anche in Italia ho descritto questo processo di cambiamento. Per la prima volta in Russia si parlava di “democrazia” ma il popolo non era preparato ad affrontare questa radicale svolta e non capiva neanche il significato della parola “democrazia”.

Nei primi anni di Perestroika sono stati fatti molti errori: la popolazione ha perso i soldi depositati nelle banche e mentre qualcuno di arricchiva il resto della popolazione diventava sempre più povera.

In quel momento tutti hanno capito che “libertà” era solo una parola.

Ho sempre sostenuto che una rivoluzione non può essere fatta da un piccolo gruppo di persone, la democrazia deve nascere dal basso, vi deve partecipare tutto il popolo. Un uomo russo uscito dall’utopia comunista e come una persona confusa da un’anestesia. La gente non è abituata a decidere da sola, ma pensa sempre che qualcun altro decida per loro. La gente non si batte per i propri diritti.

Racconto un episodio: per scrivere il mio libro mi sono recata nella zona contaminata (il 25% della superficie della Bielorussia) e ho visto un trattore che scavava la terra. Ho fatto fermare il mezzo ed è sceso il trattorista senza alcuna maschera di protezione. Sapete che è molto pericoloso respirare la polvere di terra radioattiva.

Gli chiedo l’età e se ha figli, mi risponde che ha 35 anni e tre figli.

Gli domando perché non si protegge e non fa valere i propri diritti.

Mi risponde che non spetta a lui decidere ma che ci deve pensare l’autorità locale.

La tragedia del teatro di Mosca ha riportato di attualità il conflitto in Cecenia.

Quando le repubbliche si sono separate dall’unione sovietica sono nati i primi conflitti.

La guerra più spaventosa è in Cecenia. Ho parlato con tanti profughi e giornalisti ceceni.

E’ un piccolo popolo che conta circa 1 milione di persone, in guerra con la Russia da circa 200 anni.

Il comportamento della Russia in Cecenia si può confrontare con quello che ha fatto Hitler nella 2° guerra mondiale.

Ero a Mosca quando è successa la tragedia nel teatro. Il primo, giorno quando i terroristi hanno trattenuto gli ostaggi, i terroristi hanno parlato con le persone che sono andate a trattare e hanno raccontato i fatti della guerra.

Non comprendo i metodi dei terroristi. Però questi terroristi sono venuti a Mosca per dire alla gente che stanno distruggendo il loro popolo. I terroristi hanno raccontato agli ostaggi che mentre i Russi conducono una vita normale, i Ceceni vengono ammazzati. Hanno detto di non voler uccidere gli ostaggi ma di voler fermare la guerra in Cecenia.

Alcuni programmi TV hanno tentato di riportare anche il punto di vista dei terroristi ceceni, ma sono stati attaccati duramente.

Dopo la presa degli ostaggi, i cittadini di Mosca hanno manifestato per fermare la guerra.

Il governo si è spaventato per queste manifestazioni e perciò ha fermato i terroristi in quel modo del tutto inatteso.

Il governo russo non vuole alcuna inchiesta su ciò che è accaduto al teatro Dubrovka.

Putin non ha mai dato la sua disponibilità a parlare con i terroristi o a far cessare la guerra.

Nonostante il presidente sia di giovane età, egli adotta ancora metodi del passato.

Finora non vi è nessuna prova che i terroristi abbiano ucciso degli ostaggi.

La donna cecena non prende mai le armi: lo fa solo quando nella famiglia non vi è più nessun uomo. Sono venute a Mosca a raccontare quello che veramente succede in Cecenia.

E’ molto duro conoscere la verità della Cecenia. Conosco alcuni giornalisti russi che scrivono la realtà dei fatti, ma si sono trovati in grande difficoltà.

Secondo stime solo nella città di mosca vivono 40.000 bambini di strada.

Questi bambini vivono nei sotterranei di Mosca, tra i tubi e vicino alla stazione. Di solito sono bambini con grossi problemi familiari. Molti ne parlano e scrivono, ma nessuno trova una soluzione. Ci sono inoltre grossi problemi legati alla prostituzione e alla tossicodipendenza dei bambini.

Qual è la situazione dei minori nelle carceri?

Il problema è sempre lo stesso, la povertà, per cui i bambini sono quasi costretti a delinquere.

Il divario ricchezza-povertà è sempre più grande, motivo per cui aumenta anche la criminalità.

Conosco una famiglia con un bambino di 13 anni che tentò di rubare un oggetto in un’auto. Fu arrestato e messo in carcere. Ne è uscito dopo 2 anni come un vero criminale ed ha anche tentato di uccidere una persona.

I periodi di detenzione dei minori dovrebbero essere più brevi.

Inoltre se avesse avuto dei genitori non alcolizzati, con i soldi necessari a pagare la multa, la sua vita sarebbe stata diversa.

Ci sono associazioni che si occupano di questi bambini, ma non riescono ad aiutarli tutti perché sono tantissimi.

Che cosa può dirci della violenza domestica contro le donne?

E’ un grande problema che dipende dalla forte cultura patriarcale presente in Russia.

Se ad esempio dei vicini di casa sentono delle urla e chiamano la polizia, questa non interviene affermando che sono affari di famiglia e che a breve tutto si risolverà.

Il reato di violenza domestica viene applicato solo nel caso in cui la donna sia uccisa.

Qual’è la situazione della liberta di stampa in Russia?

Prima in Russia non vi era libertà di parola per cui la gente è abituata a stare zitta. Anche nelle zone colpite dalla catastrofe di Chernobyl, le donne non chiedono giustizia per i loro figli che sono rimasti vittime.

Alla popolazione delle zone colpite nessuno ha mai detto la verità.

Nelle città ci sono delle organizzazioni che protestano, ma nei piccoli paesi sono gli stessi sindaci a coprire la verità.

I giornalisti che scrivono la realtà dei fatti non hanno nessuna possibilità di vedere pubblicati i loro articoli.

I giornalisti sono incarcerati, in alcuni casi uccisi. Nonostante tutto questo ci sono ancora giornalisti che raccontano la verità, perché credono che si debba cambiare qualcosa. Come Grigorij Pas'ko (ex giornalista militare russo condannato nel dicembre del 2001 per spionaggio), a cui ho chiesto il perché abbia scritto quegli articoli di denuncia che gli hanno procurato una condanna molto severa. Egli mi ha risposto che lo ha fatto perché domani possa guardare negli occhi suo figlio.

Cosa pensa della campagna internazionale di Amnesty International sulla Federazione Russa?

Penso che sia importante avere contatti con associazioni come Amnesty International, avere delle pubblicazioni da far leggere alla gente; il nostro popolo deve imparare a vivere e anche a pensare. Nessuno può raccontare cosa sia la democrazia. Né i nonni, né i padri sanno cosa sia la democrazia. E non si può importare come si fa con il cioccolato svizzero.

Il mondo si può cambiare, occorre però lavorare ogni giorno e avere sempre molto coraggio.

Oggi ci sono giornali democratici, i giovani viaggiano molto ed è bene che vedano un altro mondo, un'altra vita.

Nel 2002 il gruppo Amnesty 234 di Pontedera presentava la campagna Russia con la partecipazione di Svetlana, ospite della nostra città.

Ecco il comunicato di Amnesty Pontedera

Lunedì 11 novembre alle ore 21.00, presso il Circolo Agorà di via Valtriani, il gruppo Amnesty International di Pontedera presenterà la nuova campagna promossa dal movimento internazionale per la difesa dei diritti umani, dal titolo Russia. Giustizia In Rosso. La campagna, che vedrà impegnato il movimento fino a dicembre 2003, avrà come temi specifici le discriminazioni e i maltrattamenti nei confronti di donne, bambini e minoranze etniche, il sovraffollamento delle carceri, l'impunità giudiziaria, la guerra in Cecenia, il rafforzamento della comunità degli attivisti per i diritti umani in Russia. La conferenza, patrocinata dal Comune di Pontedera, vedrà la partecipazione della scrittrice bielorussa, Svetlana Aleksievitch, membro del Parlamento degli Scrittori in Esilio e testimone diretta della situazione nelle repubbliche della ex Unione Sovietica.

Breve recensione del libro di Aleksievich

Da una decina d’anni la Aleksievich racconta il mondo russo. Preghiera per Chernobyl (edizioni e/o, 15 euro ) è il suo quinto libro e come i precedenti nasce da lunghe ricerche, da centinaia di interviste alla gente del luogo. E’ la documentazione d'una tragedia attraverso la voce di chi n'è stato travolto. Un racconto in presa diretta, scritto lasciando parlare gli attori, come se fosse una rappresentazione teatrale. La carcassa della centrale nucleare, che nell'86 seminò il terrore, resta sullo sfondo, come le polemiche sulle responsabilità e sul mancato rispetto delle norme di sicurezza. In primo piano, invece, le storie di chi ha visto un mondo liquefarsi in pochi giorni. La scrittura è travolgente e il lettore è gettato in una condizione inimmaginabile, dove l'ignoto in ogni istante presenta le sue imprevedibili condizioni. Questo libro è la documentazione di un'umanità che, davanti alla più invisibile e implacabile delle tragedie, cerca disperatamente un punto fermo nei rapporti interpersonali, nella solidarietà senza condizioni. La grande tragedia parla attraverso i particolari: le api che non escono più dagli alveari, l'orrenda esplosione dei corpi irradiati. Raccontata da dietro le quinte, ascoltando le voci che nessuno aveva mai fatto parlare. E il meccanismo innescato dalla Aleksievich raccoglie un bisogno rimasto muto per 15 anni: raccontare l'assurdità vissuta. è questo bisogno che ne fa un libro indimenticabile, che sarebbe un delitto ridurre a bandiera della battaglia antinucleare. Anche se fa riflettere, e molto, sulle incognite del nucleare.


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